medaglie

Medaglie e vincitori.

Le medaglie non sono sempre esistite. I vincitori di gare sportive, per diverso tempo  furono premiati con regali di vario tipo: quadri, sculture, coppe, anche medaglie, ma nel senso di oggetti artistici come altri.

Atene 1896

Nella prima edizione dei giochi olimpici di Atene del 1896, erano previste solo per i primi due classificati e non erano affatto d’oro. Al primo andava una medaglia d’argento e una corona d’olivo. L’olivo veniva da Olimpia, come si conviene per chi vuole ricordare la Grecia degli Elleni. Era segno di sacralità e di pace, come lo era quando i greci portavano la tunica e si pensavano il centro dell’universo. Quei greci, quando vincevano, erano incoronati con rami d’ulivo, pianta sacra a Zeus, cui erano dedicati i giochi. Era stato Eracle, Ercole per i romani, il fondatore mitico delle Olimpiadi, che lo aveva fatto la prima volta, per onorare il vincitore della corsa.

medaglista ufficiale

La medaglia dei primi classificati di Atene era stata coniata da un’artista francese, Jules Clement Chaplain, medaglista ufficiale del governo del suo paese. Sul diritto era raffigurato Zeus che tiene in mano Nike, la dea della vittoria. Sul rovescio c’era l’Acropoli di Atene. Oltre a medaglia e corona i premiati ricevevano anche un attestato. Anche questo era disegnato appositamente da un artista. Il pittore che lo aveva illustrato era un greco, ma che si era formato nella sua arte in Germania. Si chiamava Nikolaos Gysis ed era un’esponente della famosa scuola di Monaco. L’immagine rappresentava ancora Atena, il Partenone e naturalmente la vittoria alata, quella per cui tutti si sarebbero immolati.

i vincitori non sono tutti uguali

Ma i vincitori non erano tutti uguali. Ad alcuni era riservato un trattamento di favore, perché la loro specialità era considerata particolare. Tutta roba simbolica, chiaramente. Il discobolo Robert Garrett, per esempio, fu premiato dal principe ereditario Costantino con un vaso antico.  Il vincitore del tiro a segno, Pantelis Karasevdas, ricevette una carabina, mentre Ionannis Fragkoudi una pistola. Il famosissimo Spiridon Louis, invece, quello che vinse la maratona ed entrò nella leggenda, guadagnò una coppa d’argento che rappresentava un corridore.

I secondi.

La medaglia dei secondi, invece, era di rame, disegnata da un altro artista greco: Nikiphoros Lytras. Nell’immagine c’era ancora la vittoria alata e sullo sfondo l’Acropoli. Insieme alla medaglia ricevettero anche un ramo d’alloro. Anche l’alloro era simbolico. Per i romani era il simbolo della gloria. Con l’alloro ci facevano la corona degli imperatori. 

Parigi.

A Parigi, nella seconda edizione dei Giochi, nessuno ebbe la medaglia. Ai premiati furono assegnate coppe, targhe, premi artigianali e di altra natura. Anche soldi. Perché c’erano anche gare per professionisti, per esempio nel tiro e nelle scherma. Nonostante il parere di De Coubertin.

Oro, argento e bronzo

Fu a S. Louis che per la prima volta si assegnarono come premi ai primi tre classificati, medaglie d’oro, d’argento e di bronzo. L’usanza non era originale. I primi a pensarla erano stati quelli della National Association of Amateur Athletes. La società americana degli atleti dilettanti pare assegnasse tali medaglie già nel 1884.

Ancora miti

Perché oro, argento e bronzo? Non era una questione di valore, come pensavano alcuni. E nemmeno c’entrava la rarità, come dicevano altri. Centrava ancora la Grecia e il suo mito. In questo caso la famosa storia dell’umanità di Esiodo. Il poeta più antico della Grecia continentale (VII sec. a.C.) aveva raccontato nella Teogonia, la storia degli uomini e di com’era andata. Tutto era partito bene sotto il governo di Kronos, ma poi era cambiata. Da quando Zeus aveva preso il potere le cose si erano deteriorate, fino al disastro dei giorni presenti (ma lui parlava di quei secoli).

Golden Age

In questo percorso di decadenza gli uomini avevano attraversato cinque ere. I tre metalli designavano le prime tre. L’inizio era stato l’età dell’oro, quando gli uomini vivevano tra gli dei e tutto andava come doveva andare. Non si doveva lavorare, non c’erano ricchi e poveri e la natura elargiva ogni suo bene. Non c’era la malattia e nemmeno il dolore. Poi nell’età dell’argento gli dei avevano cominciato ad essere violenti, finendo con l’uccidere gli uomini. Qualcosa di bello, però, era rimasto, per esempio si restava bambini con tutti i privilegi della giovinezza, per almeno cent’anni. Nell’‘età del bronzo era andata peggio. Gli uomini, spinti dagli dei, avevano cominciato a fare la guerra. Eppure non tutto era ancora perduto. Per esempio si poteva ancora continuare a vivere nella casa amata di Ade.

Vittoria

La vittoria sportiva era quindi un dono e un augurio. Un dono come quello degli dei. C’entrava anche la fortuna. Anche lei era una dea. “Fortuna” aveva personificato la forza che guida e avvicenda i destini degli uomini. Era quella forza che distribuisce ciecamente felicità, benessere, ricchezza, oppure infelicità, sofferenza e sventura. La vittoria era quindi un possibile ritorno alla partenza. Diceva che passo per passo, si poteva rifare la strada dall’oggi ad un’altra età dell’oro. Questo era l’augurio. Vincere era di nuovo il momento dello splendore. Finalmente l’uomo era ancora quello che avrebbe dovuto essere. Così avrebbe potuto riposarsi nella “felicità”, sogno mai raggiunto dalla filosofia.

 

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