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La WADA, ruolo e limiti: considerazioni alla luce della pubblicazione del Report Cottier

Contributo Olympialex a cura di Andrea Doro e Cristina Varano

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203 Comitati Olimpici Nazionali, circa 10.500 partecipanti in 329 eventi, questi sono stati i numeri dell’Olimpiade di Parigi 2024, terminata ormai da un paio di mesi. 

Tra gli atleti, erano presenti anche 11 (dei 23) nuotatori cinesi oggetto di cronaca in questi mesi, che erano risultati positivi a una sostanza vietata, la trimetazidina (TMZ) in occasione di una competizione nazionale svoltasi in Cina dal 31 dicembre 2020 al 3 gennaio 2021. 

La vicenda, già ben nota e oggetto di notizia nel portale [1], ha avuto origine dalla decisione, da parte dell'Agenzia antidoping cinese (CHINADA), di non considerare le assunzioni della TMZ come violazioni delle regole antidoping (ADRV), a seguito di riscontri analitici avversi (AAF), di indagini condotte in proprio o da autorità statali e di perizie di esperti. 

La decisione assunta da CHINADA veniva notificata all’Agenzia mondiale antidoping (WADA) e alla Federazione Internazionale del Nuoto (FINA), le quali avevano la facoltà di ricorrere al Tribunale arbitrale dello Sport (TAS): invero, secondo il rigoroso vaglio e le valutazioni fornite da esperti consulenti, entrambe le organizzazioni avevano concluso che non vi fossero motivi di ricorso. 

La WADA, tuttavia, essendo stata accusata da più parti, e soprattutto dall’Agenzia antidoping statunitense (USADA), di aver deliberatamente avallato la decisione dell’organo cinese - in questa e in altre occasioni nel corso degli ultimi anni - ha scelto di avviare un’indagine interna indipendente, a decorrere dal 23 aprile 2024, incaricando il Procuratore svizzero indipendente Eric Cottier, già giudice - di prima e seconda istanza - e pubblico ministero davanti a tutte le autorità, cantonali e federali svizzere, di rispondere ai seguenti quesiti:

1. C'è qualche indicazione di parzialità nei confronti della Cina, di interferenze indebite o di altre scorrettezze nella valutazione da parte della WADA della decisione della CHINADA di non presentare ricorso per violazione delle norme antidoping contro i 23 nuotatori cinesi?

2. Sulla base di un esame del fascicolo relativo alla decisione della CHINADA di non avanzare violazioni delle norme antidoping nei confronti dei 23 nuotatori cinesi, nonché di qualsiasi altro elemento a disposizione della WADA, la decisione della WADA di non contestare in appello lo scenario di contaminazione proposto dalla CHINADA è stata ragionevole?

L’attività del Procuratore si è conclusa giovedì 27 giugno 2024 ed è stato dapprima inviato una sintesi del Report alla WADA e, lo scorso 12 settembre 2024, è stato pubblicato il Report finale composto da ben 62 pagine.

Sul primo quesito

Per rispondere alla prima domanda, il Procuratore ha dovuto esaminare se la valutazione della WADA di non appellare la decisione della CHINADA fosse il risultato di un possibile favoritismo verso la Cina (e i suoi atleti). 

La risposta non può prescindere da una breve analisi della decisione della CHINADA, e sulle modalità che hanno portato alla stessa. 

Sul punto, e per quanto a conoscenza del Procuratore, si riscontrava una mancata conformità alle regole di procedura antidoping nel modus operandi della CHINADA, circostanza mai contestata da parte della WADA.

La mancata reazione da parte della WADA alla non conformità alle regole di procedura antidoping da parte dei cinesi, si limita ovviamente al periodo degli eventi oggetto dell’indagine e, più precisamente, fa riferimento al periodo che va dal 16 marzo 2021, data in cui CHINADA ha per la prima volta portato il caso alla sua attenzione, al 4 agosto 2021, ultimo giorno del termine di appello. 

Deve precisarsi che formalmente, sul piano giuridico, nessuna regola imponeva alla WADA di agire, ma ciò non esclude che il semplice riferimento all’ “assenza di una regola che impone un’azione”, non sia soddisfacente agli occhi del mondo sportivo, da parte della WADA, paladina e guardiana in prima linea della lotta antidoping a livello planetario. Di fatto, la risonanza mediatica del caso (23 nuotatori, tra cui atleti di primissimo piano, 28 test positivi, su 60, per una sostanza proibita di origine terapeutica, ecc.), avrebbe dovuto portare quantomeno a una riflessione coordinata e concertata all’interno dell’Agenzia mondiale stessa, culminando in una decisione, formalizzata e chiaramente espressa, di non assumere alcuna iniziativa e/o intraprendere alcun percorso giudiziario. 

Tale considerazione resta confinata al rango di osservazione critica e non permette tuttavia a Cottier di ritenere che l’Agenzia abbia concretamente favorito i 23 nuotatori coinvolti o che, all'interno di essa, alcuni abbiano cercato di farlo. 

In conclusione, dunque, a parere di Cottier non vi sono prove relative a una qualsivoglia interferenza o ingerenza da parte di entità sportive o politiche cinesi nella decisione della WADA, che portino a ritenere che la WADA abbia in qualche modo favorito i 23 nuotatori risultati positivi al TMZ.

 

Sul secondo quesito

Per quanto riguarda la seconda domanda, Cottier ha affermato di aver avuto accesso completo al database della WADA e che sia prima che dopo l'invio della decisione (con riserva di appello) da parte di quest’ultima, la CHINADA ha fornito risposte dettagliate alle numerose e successive richieste della WADA, integrando il materiale probatorio laddove ciò si sia reso necessario.

Per valutare se la decisione della WADA di non presentare ricorso sia stata "ragionevole", Cottier si è basato innanzitutto sulla documentazione fornitagli, esaminata alla luce delle norme internazionali applicabili e sulle proprie conoscenze ed esperienze nel campo del diritto. Inoltre, nel proprio Report, Cottier afferma che, nella scelta, sono stati coinvolti esperti legali di comprovata esperienza nel diritto sportivo e, soprattutto, in ambito doping.

In via generale, la ragione alla base della scelta se ricorrere o meno in appello deve essere innanzitutto quella di valutare le possibilità di accoglimento del ricorso, che dipendono dai motivi addotti, sia in punto di fatto che di diritto. Quando, come in questo caso, il successo dell’appello richiede che i fatti posti a fondamento della decisione impugnata siano modificati, è necessario fornire prove molto solide perché l’autorità adita si convinca della bontà di riformare la pronuncia stessa: in punto di prova deve sostenersi che gli elementi posti a sostegno della decisione assunta non abbiano soddisfatto lo standard di prova richiesto e precisamente della “balance of probabilities” disciplinata all’articolo 3.1 del Codice WADA.

Pertanto, sebbene la WADA abbia mantenuto perplessità sullo scenario di contaminazione, tali dei dubbi, non supportati da ulteriori prove, non avrebbero potuto costituire fondati motivi di appello. Come sopra detto, per contestare un'ipotesi si dovrebbe presentarne un'altra almeno altrettanto plausibile, e supportarla con indizi e prove di livello pari a quelli che sostengono la decisione contestata, mettendone in dubbio la bontà e la fondatezza. Il Procuratore, in questo senso, ha ritenuto che la decisione di non ricorrere in appello da parte della WADA apparisse indiscutibilmente ragionevole, sia da un punto di vista fattuale che da un punto di vista di diritto.

Inoltre, con un obiter dictum - cioè un principio affermato a corollario della questione -, Cottier osserva anche che la presentazione di un ricorso a fine luglio 2021 avrebbe comportato il contemporaneo coinvolgimento di 23 atleti nel procedimento, ben oltre sei mesi dopo l'accertamento dei fatti. Un ricorso in appello, in questo caso, avrebbe avuto un impatto considerevolmente negativo su un gruppo di atleti che, fino a quel momento, non avevano avuto alcun diritto al contraddittorio: volendo effettuare un'analogia con i procedimenti giudiziari, per una più agevole comprensione del concetto, è come se una persona si trovasse sul banco degli imputati davanti all'autorità giudicante, senza essere stata precedentemente avvertita o aver usufruito dei diritti processuali dell'imputato.

Peraltro, una procedura di appello davanti al Tribunale Arbitrale dello Sport dura solitamente tra i 6 e i 18 mesi. In questo senso, un simile procedimento nei confronti di 23 atleti, alla luce di tutte le circostanze esaminate, avrebbe verosimilmente violato il principio di proporzionalità, che deve essere preso in considerazione per decidere se proporre una tale impugnazione. 

Dunque, la WADA, in questo caso, risulterebbe aver agito in conformità con le regole che lei stessa ha stabilito per le organizzazioni antidoping. Infatti, la normativa internazionale sugli standard applicabili (in particolare all'art. 3.6.2 dell’International Standard for Testing and Investigations 2021 (ISTI)) e lo stesso Codice WADA tengono conto dei principi di proporzionalità, di completezza e di affidabilità nella gestione delle prove, come criteri che devono guidare la sua interpretazione.

Alla luce di queste disposizioni e dei principi enunciati, il Procuratore ha ritenuto che nulla, nell'esame condotto dalla WADA, a partire dalla ricezione della decisione di CHINADA alla conoscenza del dossier completo ed esaustivo, suggeriva l'intenzione di gestire il caso favorendo i nuotatori coinvolti o la stessa Cina. Il Procuratore ritiene che tutti gli elementi presi in considerazione dalla WADA, derivati dal dossier prodotto da CHINADA o dai procedimenti d'istruzione da essa condotti, dimostrino che la decisione di non presentare un appello sia stata ragionevole, sia dal punto di vista dei fatti che delle regole applicabili.

Infine, come osservazioni generali a conclusione del proprio Report, Cottier si chiede se la procedura prevista per le contaminazioni, disciplinata all’art. 10.6.1.2 «Contaminated Products» del Codice Wada sia adatta a situazioni in cui un gran numero di atleti, come nel caso in esame, risulti positivo alla stessa sostanza nello stesso momento, fornendo ipotesi correttive. 

Inoltre, Cottier sostiene che seppur ciò sia giuridicamente possibile, la WADA non può limitarsi a emanare e distribuire direttive alle Agenzie antidoping nazionali e alle Federazioni sportive, senza prendere posizione nei singoli casi, e ipotizza un correttivo normativo in tal senso, a maggior garanzia del sistema. 

L'organizzazione globale messa in atto per combattere il doping, di cui la WADA è la pietra angolare, è strutturata in modo che le varie entità nazionali e internazionali che la compongono possano, ciascuna nell'esercizio delle sue competenze e lavorando insieme, raggiungere gli obiettivi assegnati. Tuttavia, in questo caso, Cottier non ha mancato di osservare che vi sono situazioni che possono, e forse devono, essere disciplinate più puntualmente. La "legislazione" antidoping, ossia il Codice WADA e i documenti correlati, costituiscono un corpus importante e complesso; pertanto, lo stesso Cottier, seppur consapevole di non poter pretendere di proporre modifiche concrete di disposizioni topiche, auspica che i lavori in corso per la revisione del Codice possano rendere più comprensibili le dinamiche tra le varie autorità in campo e spegnere le tensioni create negli ultimi mesi tra le varie Agenzie antidoping nazionali. 

A beneficio dello sport, collante mondiale tra i popoli, vessillo di unificazione e di pace.
 

Andrea Doro – Avvocato del Foro di Padova; socio AIAS - Associazione Italiana Avvocati dello Sport e Ufficiale di gara FIN (Arbitro nazionale di pallanuoto)

Cristina Varano – Avvocato del Foro di Roma; esperto di giustizia sportiva; Procuratore Federale FIJLKAM/FIPE, Sostituto Procuratore Federale FIP.

 

[1]https://www.nuoto.com/articolo/notizie/istituzioni-sportive/rapporto-cottier-wada-sollevata-da-qualsiasi-illecito-sulla-gestione-del-caso-dei-23-nuotatori-cinesi/

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