Mi si è tuffato il mare dentro
Il contributo di Manolo Cattari, psicologo dello sport, Docente FIN e FINP
Mi si è tuffato il mare dentro. Non saprei come dirlo in altro modo. Nel momento più complesso della mia vita è come se il mare mi abbia preso a sé, mi è entrato dentro. Forse avevo esaurito il sale. O forse semplicemente ho fatto fare a lui senza opporgli alcuna resistenza.
Una vita in piscina, ad andare e tornare da una parte all’altra della vasca. Una vita ad andare al mare d’estate senza nuotare. Non riuscivo a mettere insieme le 2 cose. Si dovevano sgretolare alcune certezze perché potessero fondersi.
Così, senza un chiaro obiettivo mi tuffo in mare a nuotare e scopro un mondo.
Per prima cosa recupero la dimensione dello spazio. Nuotare in mare significa spostarsi; di più, significa viaggiare. Da un punto all’altro. Da una spiaggia ad un'altra, dalla costa a un’isoletta, da una roccia ad un’altra. Nuotare in mare significa tornare indietro. Dover calcolare le energie residue per poter tornare al punto di partenza oltre che andare: significa risparmiarsi. Perciò non tanto conquistare l’obiettivo, ma conservarsi, ad obiettivo raggiunto, per poter rientrare. “Conservarsi” che concetto spettacolare. Proprio oggi in cui tutto è sul ‘qui ed ora’, tutto è subito ed è già finito appena lo ottengo.
Nuotare in mare significa osservare per osservarsi. Il ritmo è più lento, le cose arrivano piano e rimangono sospese per un tempo maggiore che a secco. È come se si potessero vedere a 360°, non solo di facciata. Così l’altro giorno ho visto un polpo cacciare. Fermo, mimetizzato. Puntava aspettando un saraghetto, l’ho visto da davanti, da sopra e da dietro. Era diverso, ma uguale, a seconda del punto di vista. Così come le relazioni con le persone e gli oggetti, diverse ma uguali a seconda del punto di vista. Una bracciata dopo l’altra sembrano sistemarsi, si collocano sul fondo silenziosamente, mentre da sopra si va lentamente avanti. Si prendono il loro tempo.
Nuotare in mare significa sciogliersi in qualcosa di più grande. Il mare è più grande, incomprensibilmente più grande. E questo è sublime. Lo senti quando la mente si spegne e ti senti parte del tutto, quando ti illudi che la tua gambata lo agiti. Ma lo senti ancora di più quando ti angosci. Quando ad un certo punto si apre sotto nel fondale una voragine di cui non vedi il fondo. O quando perdi la direzione. La paura come un brivido aumenta la battuta di gambe in modo spasmodico. Lo senti nella pancia, più che capirlo cognitivamente, che non sei niente. Che i tuoi problemi sono insignificanti e che è già tanto se ci sei; allo stesso tempo che non lo hai mai sentito così forte e chiaro che ci sei.
Nuotare in mare significa ridimensionarsi. Sentirsi spettatori più che attori. Il punto di vista è privilegiato, ma è limitato, perché se è vero che vedi dall’alto, ciò che vedi non lo puoi toccare. Non ci arrivi e capisci che non è tuo; rifletti e comprendi che anche nella vita le cose e le persone non ti appartengono, sono intorno e con te, ma non sono tue. Neanche ciò che generi ti appartiene. Figli, progetti o idee sono con te, ma non sono te e non puoi trasportarle perché in fondo anche tu stai spostandoti in avanti o galleggiando per riposare.
Nuotare in mare è un’esperienza minimalista. Non hai niente con te. Il verbo “avere” perde completamente di significato. Hai un costume, un paio di occhialini e se c’è freddo la muta. Sei spogliato di tutto ciò che non è essenziale. Alleggerito del superfluo: senza cellulare, scarpe, vestiti, musica nelle orecchie. Forse come in nessun’altra situazione senti che gli oggetti sono in funzione della persona e non il contrario. E di quanto ti fai schiavo del niente.
Nuotare in mare non può prescindere dalla sensazione di freddo. Ti penetra. È il modo in cui il mare ti entra oltre la pelle, dentro le ossa. Quando è pungente ti artiglia l’anima. Trasforma la tua respirazione, quasi la controlla. Poi un metro dopo l’altro, una bracciata dopo l’altra rispondi a questo controllo rilassandoti, lasciandoti prendere e la respirazione si trasforma e sintonizza. La temperatura del tuo o corpo e dell’acqua intorno a te trovano un compromesso. Si alleano, la tua scende e quell’acqua del mare di tutto il mondo sembra salire un po'. Alla fine la temperatura dell’acqua diventa confortevole e inizi a sentire freddo fuori e a non voler uscire.
Mi si è tuffato il mare dentro, sta occupando spazi che non sentivo di avere e riempiendo un vuoto che non pensavo si potesse colmare. Non voglio farlo uscire.
Manolo Cattari
Psicologo dello sport e psicoterapeuta
Presidente Progetto AlbatroSS
Docente nazionale FIN e FINP
Psicologo della nazionale tiro con l’arco
[caption id="attachment_36528" align="alignleft" width="700"] Dott. Manolo Cattari - Psicologo dello sport[/caption]
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