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Che fatica, la fatica

La reazione e la soglia di sopportazione della fatica sono individuali e molto dipende dal carattere, ma per chi più, chi meno, col nuoto arriva inevitabilmente il momento in cui vengono alla luce fasi di stanchezza fisica e psicologica

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Da genitori riteniamo di conoscere bene la fatica: anzi, probabilmente ci consideriamo i migliori esperti di fatica, nessuno ne sa quanto noi, spiriti devastati da notti insonni, lavatrici da stendere e pasti da improvvisare in una perenne lotta contro il tempo.

Eppure, quando i nostri ragazzi ci paiono spompati da qualche allenamento faticoso, quasi ci colgono di sorpresa.

Mio figlio non sa che qualsiasi scusa gli possa venire in mente per saltare l’allenamento, l’ho inventata io trent'anni fa.

Dagli allenamenti duri non tornano solamente stanchi, talvolta li vediamo persino scontenti o preoccupati.

Ovviamente la loro reazione e la soglia di sopportazione della fatica sono individuali e molto dipende dal carattere, ma per chi più, chi meno, col nuoto arriva inevitabilmente il momento in cui vengono alla luce fasi di stanchezza fisica e psicologica.

Glielo leggiamo in volto quando escono dall’impianto, entrano in auto travolti dai dubbi: “ce la farò?”, “ne uscirò vivo?”, “che c’è per cena?” (una costante ad alimentare il polverone delle preoccupazioni).

Accade che ci risulti complesso consolarli perché con una singola questione ne stanno in realtà affrontando numerose.

In generale quello della fatica è un problema più ampio che si riflette in tutti gli aspetti della vita, per i ragazzi magari ristretta alla scuola, l’ordine in stanza e lo sport, ma gli adulti sanno quanto sia indispensabile, per far funzionare le cose, cedere il meno possibile alla pigrizia e non rimandare il dovere, ce lo hanno insegnato millenni di evoluzione.

Ai tempi delle caverne il leader di caccia aveva diritto a una bistecca di tre metri quadri che, guarda caso, è la stessa porzione a cui ambiscono i nostri ragazzi quando tornano da un allenamento.

Forse proprio per questo la nostra reazione d’impulso quando i nostri figli ci sembrano affaticati è consigliargli di “tenere duro”. Estremamente facile a dirsi, meno a farsi, perché mentre nel resto della quotidianità siamo veicolo di continuo esempio e quando teniamo duro (mica sempre…) mostriamo tangibilmente come si fa, nel contesto natatorio a faticare in vasca ci vanno loro, mica noi.

Imporgli di continuare a sfondarsi di vasche potrebbe portarli anche a rispondere un poco diplomatico “Allora vacci tu” che, ahimè, ci costringerebbe a rovinargli i connotati che con tanta fatica abbiamo generato, un vero peccato, per non parlare delle beghe legali.

Dopotutto già sappiamo che è inutile insistere su quel tono, perché noi in primis gestiamo meglio la fatica solo quando troviamo piacere in ciò che facciamo.

I nostri figli praticano uno sport particolarmente impegnativo, insostenibile senza una passione crescente. È lei il carburante che possono avere a disposizione ed è anche chiaro che non è semplice per tutti tenerla viva a lungo. Nostro figlio potrebbe non reggere ad anni di fatica senza che questa porti ai risultati che attende, per esempio. Perché - altra sfumatura difficile da spiegare loro - non c’è garanzia che la vita li ripaghi sempre dalla fatica impiegata. Mettercela tutta aiuta, abbassa le probabilità di insuccesso, ma la certezza non c’è.

Infatti “Impegnati, credi nei tuoi sogni e li realizzerai”, è la più grande falsità che quotidianamente gli viene ripetuta da ogni fonte mediatica.

Ammettiamolo, un mantra onesto dovrebbe essere: “Impegnati, credi nei tuoi sogni, continua con perseveranza, insisti anche quando mollerebbe chiunque, dacci dentro ancora e ancora e poi, molto probabilmente, non ce la farai lo stesso”.

A questo punto se invece nuotare fosse semplicemente la cosa che più gli piace, anche se non riuscissero a realizzare i loro sogni più ambiziosi, almeno si saranno divertiti, e molto.

Il carattere, la passione, il lavoro dell’allenatore e qualche risultato soddisfacente possono tenere viva la voglia di tornare a sgobbare anche domani e l’indomani ancora, e se in qualcuno di loro la fiammella non si spegnerà mai, solo per una piccola parte sarà per merito nostro.

Per cui, quando li vediamo un po’ spenti, possiamo serenamente rimanere nel nostro ruolo senza cadere nella tentazione di trovare facili (quanto poco veritiere) frasi motivazionali che ci tramuterebbero in pericolosissimi genitori-allenatori.

Avremo molti più risultati con un: “Visto che hai faticato tanto, per cena come la vedi una lasagna di tre metri quadri?”

Ph. © A.Spratt@Unsplash

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