Cifra tonda - Matteo Giunta: "Per questi quarant'anni mi faccio un augurio: poter andare avanti così!"
Questa volta tocca a Matteo Giunta festeggiare la cifra tonda: quaranta! Gli abbiamo chiesto come sono stati questi primi quarant'anni vissuti da ragazzo, atleta, uomo e coach di altissimo livello.
Questo è un compleanno che sicuramente non può passare inosservato: Matteo Giunta compie quarant'anni. Lo abbiamo contattato e abbiamo parlato con lui di questo compleanno speciale non solo per il numero delle candeline che decoreranno la sua torta, ma soprattutto per come è arrivato ai quaranta.
Matteo Giunta è un nome e un volto noto a molti: come tu stesso affermi, da Londra 2012 il tuo percorso personale e professionale è stato più volte raccontato. Ma sappiamo che prima dei Giochi Olimpici di Londra c'è stato molto e molto altro. Ce ne vuoi parlare?
Sono originario di Pesaro ed essendo cittadina sul mare, saper nuotare è una prerogativa dei suoi abitanti. Non solo per una questione di sicurezza, ma soprattutto per divertirsi al mare con gli amici. All'epoca, quando io ero piccolo, il pediatra consigliava sempre alla famiglia di far praticare nuoto ai propri figli per agevolare uno sviluppo equilibrato dell'apparato locomotore. Mi auguro sia una cosa che suggeriscono ancora. E così i miei genitori hanno cominciato a portarmi in piscina e, praticamente, non sono ancora uscito.
Il nuoto è sempre stato il mio unico sport. Fortunatamente ero un ragazzino che non ha vissuto il boom tecnologico che caratterizza gli adolescenti di oggi, non c'era internet, perciò il tempo libero era vissuto per divertirsi e fare sport. Giocavo a basket, giocavo a calcio, giocavo a Beach Volley, Facevamo veramente di tutto. Purtroppo, mi rendo conto che oggi non è più così. E mi spiace per le nuove generazioni: oggi ci sono molti altri interessi, molti altri modi per passare il tempo libero, io mi ritengo fortunato di averlo potuto passare facendo sport.
Da piccolo, credo come la maggior parte dei bimbi, non ero proprio euforico all'idea di andare in piscina. Invece crescendo mi sono appassionato sempre di più: amavo fare fatica, cercavo di fare l'allenamento nel miglior modo possibile, riuscire ad andare oltre il proprio limite. E poi, inutile negarlo, il momento più bello era quello della doccia: la meritata doccia dopo aver faticato, ridendo e scherzando con gli amici. Inoltre, sono sempre stato un gran mangione e questo sport mi consentiva di togliermi ogni soddisfazione da questo punto di vista. Ho sempre avuto un metabolismo molto veloce, sono sempre stato molto goloso e purtroppo lo sono rimasto; forse ora che arriviamo ai fatidici "anta" devo stare un pochino più attento.
Comunque, durante la mia infanzia e adolescenza a Pesaro, il nuoto è stato il mio filo conduttore. Abbinato ovviamente all'istruzione: i miei genitori sono sempre stati molto determinati con me su questo aspetto e ora che sono adulto posso solo che ringraziarli. Per loro non si trattava solo di studiare, significava alimentare il proprio spirito critico, acculturarsi per poter fare le scelte nel miglior modo possibile, saper ragionare con la propria testa; non era solo cultura: era vita.
Praticare nuoto mi ha permesso di coltivare bellissime amicizie con ragazzi che condividevano i miei stessi interessi e di evitare di stare in strada a perdere tempo o a fare chissà quale cavolata. Praticando sport non ti restava il tempo per pensare a sciocchezze, e questo tranquillizzava anche i miei genitori. Finché stavo in acqua ero anche al riparo da brutte compagnie. Devo ringraziarli: sono stati presenti nella mia fase di crescita in maniera incredibilmente costruttiva, consentendomi di fare ciò che più mi piaceva in maniera sana.
Sono stati bravi perché nel mio percorso sportivo e di vita hanno saputo farsi consigliare e allo stesso tempo stare al loro posto. Non cercavano per me la grande carriera o chissà che cosa: volevano il mio bene, qualunque esso fosse. Da quando ho cominciato a vivere il bordo vasca mi sono reso conto che non è una cosa così scontata: ci sono alcuni genitori che, pur volendo il bene dei propri figli, vorrebbero bruciare tappe che invece sono fondamentali per lo sviluppo dei ragazzi.
Quali erano o quale era lo stile che preferivi quando eri atleta?
Quando ero giovane ero abbastanza leggero e longilineo, a quattordici anni ero già alto 1.90, facevo praticamente qualsiasi cosa. Poi crescendo mi sono appesantito e quindi mi sono spostato sulla velocità: 50 e 100 stile, 50 e 100 farfalla. Da giovane ho vinto molte medaglie, ma l'unico campionato italiano che ho vinto, l'ho vinto nei 200 stile. E questo, con il senno di poi, mi fa sorridere. Sono una persona che crede molto nei segnali che la vita ti manda, anche se riusciamo a leggerli solo con il tempo. La gara dei 200 stile, in qualche modo, era già un segno.
Come è stato il tuo passaggio da dentro l'acqua a bordo vasca?
Ricordo sempre con molto piacere e con affetto un episodio che all'epoca mi ha aperto gli occhi: ancora nuotavo, ero a Torino ed ero in una fase dove non avevo più alcun obiettivo agonistico. Avevo appena finito l'università e mi ero preso un anno sabbatico. Un giorno, durante l'ennesimo allenamento fatto non proprio bene, il compianto Fulvio Albanese mi fece uscire dall'acqua e mi disse che era arrivato il momento in cui dovevo pensare a cosa volevo fare nella mia vita. Ed effettivamente aveva ragione: ci è voluto un pò di tempo, ma per me quelle parole sono state come un seme che andava coltivato, e poi cresce e si trasforma. Ho avuto la fortuna, tra la stagione 2008 e 2009, che un mio ex compagno di squadra, Federico Cappellazzo, collaborava al progetto di Andrea Di Nino a Ispra. Andrea si stava spostando a San Marino e Federico, non riuscendo a seguirlo per la distanza, propose me a Di Nino, per poterlo supportare nel portare avanti l'ADN Swim Project. Con Andrea si è instaurato subito un ottimo feeling lavorativo e da lì è iniziata la mia avventura. Inizialmente lavoravo con lui nella preparazione in palestra e nel frattempo continuavo a studiare fisioterapia. Poi ha iniziato a chiedermi di affiancarlo anche in piscina. Alla fine mi ha proposto di seguirlo a Caserta per supportarlo in maniera completa in palestra e in acqua. Venivamo da una stagione bellissima, i 100 farfalla di Milord Cavic e Michael Phelps ai Mondiali del 2009. Con Andrea Di Nino ho chiuso il ciclo olimpico a Londra nel 2012 con grandissime soddisfazioni e nell'inverno di quell'anno c'è stata la chiamata a Verona. E da lì in poi cosa è successo lo sanno tutti.
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MIRESSI Alessandro AQC
Aqua Centurions (AQC)
ISL International Swimming League 2021
Match 10 day 2
Piscina Felice Scandone
Napoli, Naples
Photo Giorgio Scala / Deepbluemedia / Insidefoto[/caption]
Praticamente non hai mai lasciato l'alto livello, da atleta e poi da tecnico, ma sempre nell'élite. Oppure no?
Durante gli ultimi due anni in cui sono stato a Torino ho lavorato come istruttore nella scuola nuoto e allenatore nella preagonistica, perché comunque avevo bisogno di lavorare per mantenermi. Ad essere sincero, è stata una bellissima esperienza, e soprattutto molto utile perché mi ha permesso di capire che non faceva per me. Avevo bisogno di atleti professionisti. In questo decennio a Verona ho comunque capito che, è vero che se un atleta è forte riesce in qualche modo a venir fuori, ma la parte di crescita è fondamentale per far si che il talento possa essere da podio olimpico oppure da finale. Credo sia importante, anche come tecnico, capire cosa fa per te. Perché comunque lavoriamo con atleti, e se la tipologia di atleta non è quella con cui ti trovi a tuo agio, rischi di fare dei pasticci. Non si tratta di allenatori di serie A o di serie B, si tratta di capire dove riusciamo a dare il meglio di noi stessi.
Nei miei pensieri c'è anche il desiderio di crescere un atleta da giovane, dai tredici, quattordici anni, che è quell'età in cui cominciano a emergere. Per il momento sono molto centrato nel lavoro che ho fatto fino a ora e che sto portando avanti.
Un'altra cosa che mi ha fatto capire che la preagonistica non faceva per me, era la gestione delle problematiche con i genitori. Era diventato veramente stressante, soprattutto quando mi trovavo a dialogare con un muro di gomma. E credo che nell'ultimo decennio questo problema sia andato aggravandosi, non solo nello sport ma anche a scuola.
Ogni atleta è un microcosmo e il bravo tecnico deve capire qual è la strada giusta per valorizzare il talento di ognuno. Bisogna essere consapevoli che la strada giusta non è la stessa per tutti. Bisogna però essere anche sicuri delle proprie competenze e conoscenze e accettare di metterle in discussione con atleti e genitori solo fino ad un certo punto. Gli atleti che vengono da me hanno solitamente obiettivi importanti e sanno che avranno il loro vestito cucito su misura. Però il tessuto è fatto da tenacia, duro lavoro, sacrificio, la costanza, la perseveranza e l'abnegazione. Queste sono cose che io pretendo dai miei atleti. Poi la modalità la si trova insieme, ma questi requisiti sono fondamentali per iniziare il percorso insieme.
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Matteo Giunta Allenatore dell'anno
Riccione 14/12/2019 Stadio del Nuoto
Campionato Italiano Open Vasca Lunga
Photo Andrea Staccioli / Deepbluemedia / Insidefoto[/caption]
In questi quarant'anni hai praticamente girato per l'Italia.
Per l'Italia e anche fuori! Sono stato a Pesaro fino a che ho finito il liceo, poi ho fatto un anno di Scienze Motorie a Urbino e poi, a vent'anni sono andato a Torino. Cercavo di fare il salto di qualità come atleta. Lì sono rimasto per cinque anni, e sono stati anni stupendi, dove per le prime tre stagioni ho cercato i risultati, poi vedendo che non arrivavano ho perso un pò la motivazione. Con il senno di poi, quando sono diventato allenatore, ho capito che in realtà non avevo fatto tutto quello che potevo. Ma anche questo è servito. Sono stati anni formativi, come tecnico e come persona. Ho completato gli studi universitari e ho fatto chiarezza su di me professionalmente. Sono arrivato a Torino che ero un ragazzo e me ne sono andato che ero un uomo.
Negli anni che sono stato a Torino ho conosciuto tantissime persone: Andrea Beccari, Federico Cappellazzo, Claudio Rossetto, che è stato il mio primo tecnico, Fulvio Albanese, tutte persone che mi hanno lasciato un segno dentro e hanno fatto sì che io sia la persona che sono oggi.
Da Torino, mi sono spostato a San Marino, con Andrea Di Nino, poi a Caserta. Abbiamo fatto poi un anno a Belgrado, per preparare le Olimpiadi , poi sono rientrato in Italia e da lì a Verona. E qui sono rimasto.
Verona è diventata la tua città. Per tanti motivi...
Aver trovato qui l'amore ha sicuramente contribuito a far sì che non mi sia più spostato. L'amore si sa che può muovere montagne! Ma fondamentalmente è una città dove mi trovo veramente bene. Mi piace, ha una bella dimensione, né troppo piccola né troppo grande. E poi qui ho la possibilità di lavorare con una certa qualità.
Posso dire di sentirmi molto bene qui, molto in equilibrio. Ho trovato il mio centro.
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Matteo Giunta, PELLEGRINI Federica ITA Italy Gold Medal
Women's 200m Freestyle
Gwangju South Korea 24/07/2019
Swimming
18th FINA World Aquatics Championships
Nambu University Aquatics Center
Photo © Andrea Staccioli / Deepbluemedia / Insidefoto
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Mi ritengo fortunato di aver girato tanto perché comunque mi ha formato e mi ha permesso di migliorarmi. È anche un consiglio che mi sento di dare, non limitarsi alla propria realtà, ma avere la curiosità di guardarsi intorno. Nel mio caso, poi, non si è trattato solo di aver girato, ma sono anche le persone che ho incontrato in questo viaggio che hanno fatto la differenza. Nel quadriennio che ho fatto con Andrea Di Nino ho conosciuto moltissimi allenatori stranieri, che io guardavo con incredibile ammirazione e che prendevo come modelli di riferimento. Aver affiancato Philpee Lucas mi ha dato moltissimo. Continuare a confrontarmi con allenatori di altissimo livello e di tutto il mondo per me è un grandissimo stimolo.
Ripensando ai recenti Campionati Assoluti Primaverili di Riccione, possiamo dire che il nuovo gruppo che segui a Verona ha dato veramente degli ottimi segnali.
Sono davvero molto soddisfatto: mi spiace che Ilaria Cusinato non abbia potuto prepararsi adeguatamente e gareggiare molto, ma non aveva senso dato che non era stata bene. Comunque è riuscita a portarsi a casa il titolo italiano e le gare che ha fatto sono state un interessante test per verificare il suo stato di forma. Tutti i ragazzi sono stati veramente bravi, hanno risposto veramente bene e mi ritengo soddisfatto di quanto fatto fino ad ora. Anche perché, di fatto, è un gruppo nuovo, formatosi da poco. Ma insieme lavorano molto bene.
Mi rendo conto che chiederti cosa prevedono i prossimi quarant'anni è un pò azzardato.
Mi faccio un augurio: di poter andare avanti così, perché questi primi quarant'anni mi sono proprio piaciuti tanto. Ci ho riflettuto in questi giorni e guardandomi indietro devo dire che li ho vissuti intensamente. Il bilancio è positivo, perché le esperienze sono state belle, e anche se qualcosa di negativo c'è stato, è stato comunque qualcosa che mi ha fatto crescere e diventare una persona migliore.
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