La nuova luce di Fede firmata Matteo Giunta
Il percorso di Matteo Giunta, da allievo di Fulvio Albanese alle esperienze al fianco di Andrea Di Nino e di Philippe Lucas, fino alla grande sfida in veste di tecnico: portare Federica Pellegrini alla sua massima espressione.
"Matteo, voglio tornare a gareggiare nei 200 stile libero" . Così è iniziata la stagione di Federica Pellegrini . L'avevamo lasciata all'oro iridato di Budapest , quando aveva detto di voler chiudere così, tra gli applausi con la sua ultima apparizione nei 200 e invece no. Federica è tornata, eccome se è tornata e ha realizzato l'ottava meraviglia che porta la firma di Matteo Giunta.
"Mi dicevano che peccavo di inesperienza ” rivela Matteo. Aveva solo 33 anni, quando gli capitò tra le mani Federica. Malgrado la giovane età, il tecnico aveva alle spalle un background importante. Si, perché Matteo Giunta è il risultato dell’influenza di due metodologie, due correnti antitetiche: quelle all'americana di Andrea di Nino e alla francese di Philippe Lucas . Due grandi nomi che gli hanno dato il giusto input per affermarsi come uno tra i migliori tecnici sulla scena del nuoto internazionale. Ma andiamo con ordine e facciamo un passo indietro nel tempo: dopo l’esordio nelle giovanili a Pesaro, si sposta a Torino prima alla corte di Claudio Rossetto e poi da Fulvio Albanese, dove inizia, per la prima volta, ad approcciarsi all'aspetto tecnico del nuoto. Terminati gli studi con la laurea in Scienze Motorie e messo un punto alla propria carriera natatoria, a 25 anni decide di cercare la propria vocazione svincolandosi dal contesto italiano. La prima grande occasione arriva nel 2009: chiamato da Andrea Di Nino, si occupa della preparazione atletica del gruppo ADN Swim Project, dando anche un supporto a bordo vasca. Un’esperienza formativa importante, che gli ha permesso di appassionarsi davvero al coaching e che ha posto le basi per lo sviluppo della sua carriera da tecnico, fino alle Olimpiadi di Londra 2012. “ Ho avuto la fortuna di incontrare un allenatore di valore, oltre che un grande manager, ma soprattutto mi sono interfacciato con un gruppo di nuotatori eccezionali quali Milorad Cavic e Evgeny Korotyshkin. Sono cresciuto sotto il profilo tecnico e relazionale, essendomi interfacciato con atleti stranieri di talento, andando oltre le metodologie italiane”
E poi la svolta, quella decisiva che l'ha portato a diventare il Matteo Giunta che è adesso. In seguito alla rassegna a cinque cerchi, approda a Verona, come secondo di Philippe Lucas: “ C’erano già due fuoriclasse a Verona, Filippo e Federica. Nella prima stagione lui seguiva entrambi in acqua, ma dalla stagione 2013/2014 ho iniziato ad occuparmi io della preparazione di Filippo” . Due anni importanti, che impreziosiscono il background di Matteo, che passa da una metodologia impostata sullo sprint e sulla velocità, ad un allenamento di quantità, fino ad arrivare ad applicare le proprie idee: “ Per quanto uno abbia delle preferenze e delle concezioni, è opportuno adeguare i cicli di lavoro in base all'atleta che si ha di fronte. Non bisogna allenare tutti allo stesso modo. A volte vado contro alcuni dogmi, perché l’allenamento deve essere cucito su misura del singolo. Inoltre, alcune leggi si fermano laddove incontri atleti come Federica. Io cambio, sperimento e adatto la preparazione a seconda del caso specifico, considerando i suoi tempi e capacità di recupero. Non ho schemi preimpostati ”
All’inizio della stagione 2014/2015 finisce il sodalizio Pellegrini- Lucas , ed ecco che Matteo accetta una sfida importante, quella di allenare il fenomeno. Aveva tra le mani un gioiello raro e doveva farlo risplendere , donargli luce nuova: “È stato difficile, soprattutto i primi due anni. Ho cambiato qualcosa rispetto a Philippe e ho lavorato secondo il mio pensiero. Ci siamo trovati di fronte il primo ostacolo a Doha, ai mondiali di vasca corta, un campo non del tutto congeniale a Federica e più adatto alle caratteristiche delle sue avversarie. Arrivava alla rassegna non al 100%, perciò ha chiuso al quinto posto con un tempo che non rispecchiava le sue immense qualità ”. Nonostante ciò, non si sono arresi e hanno preparato in silenzio il proprio riscatto: “Ho modificato la preparazione, in occasione degli Assoluti Primaverili utili per qualificarsi per i Mondiali di Kazan. Lei non era ancora in ottima forma, ma non abbiamo mai smesso di cercare l’approccio ideale e alla fine ce l’abbiamo fatta. Al Sette Colli i primi riscontri positivi e poi la settimana successiva a Vichy, quando ha nuotato 1.55.0, la terza prestazione mondiale stagionale”. E proprio a Kazan è arrivato il successo, quell’ argento scintillante che iniziato a illuminare la gemma tanto preziosa . Proprio durante spedizione russa, la Fenice è riemersa dalla polvere e passo dopo passo ha lavorato sodo, fino ad arrivare in Corea del Sud, all’ultimo mondiale, all’atto finale di una carriera memorabile, quella che pochi sportivi italiani possono vantare. È il risultato di impegno, di sacrificio e di grande intraprendenza, quella di Matteo che è riuscito a portare alla massima espressione un talento che ad oggi è l’emblema del nuoto. “ È stata una ricerca continua verso il ciclo di lavoro perfetto finalizzato a portarla al suo cento percento. A quasi 31 anni è arrivata ad esprimere la sua vera identità in acqua. L’anno più bello? Il 2017. Dovevamo riprenderci dopo la delusione delle Olimpiadi di Rio e abbiamo vinto quel titolo mondiale inaspettato a Budapest, è stata quella la vera rinascita di Fede. Nel 2018 abbiamo recuperato energie fisiche e mentali, abbiamo alleggerito i carichi di lavoro, l’obiettivo non erano gli Europei di Glasgow, ma allenarsi senza pressioni per ripartire al top nel 2019 ”. E come è andata lo sappiamo tutti. Tutti abbiamo visto il gioiello splendere di una luce immensa, mai vista prima. Una luce d’oro. “L e avversarie che temevo? Proprio quelle che aveva di fronte. In particolare l’australiana Titmus e il fenomeno svedese Sarah Sjoestroem. È stato un oro splendido. Splendido perché è riuscita a battere anche Sarah. Non l’aveva ancora fatto, sia per circostanze, sia perché lei non disputava mai nei 200. L’ha battuta in questa finale, l’ha battuta quando contava davvero ”. E soprattutto in uno dei momenti più importanti di una carriera indescrivibile. Missione compiuta, Matteo: Fede brilla all'ennesima potenza .
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