Perché mio figlio nuotatore si allena il doppio dei suoi coetanei?
Spesso il confronto con i compagni di classe e poi con i figli di amici fa emergere un divario importante. Cerchiamo di capirne i motivi.
“ Oggi non posso venire alla tua festa di compleanno: devo allenarmi ”, “ Mi spiace ma per la ricerca posso esserci solo fino alle 16.30, poi ho allenamento ” e la risposta è sempre: “ Ma anche oggi? ”. Il nuotatore sin dalla tenera età, cioè da quando viene strappato dal suo corso di nuoto per essere inserito nel “gruppo agonistico” impara rapidamente la liturgia del “oggi ho allenamento” a differenza dei suoi amici e conoscenti che praticano mille discipline diverse e non hanno più di due o tre impegni settimanali.
E in realtà non lo sa nemmeno lui il perchè, ma impara presto la risposta.
Inoltre ai genitori viene spiegato che cominciare a “nuotare”, inteso come agonismo, dopo i 10 anni non è possibile perché il bambino sarebbe troppo “vecchio”.
Perchè il nuoto è così invadente? Deve esserlo?
La risposta non è complessa ma articolata e dipende dalle due caratteristiche principali della disciplina in oggetto: (1) si pratica in acqua (2) è ad elevata valenza coordinativa.
Primo aspetto: si pratica in acqua. Lapalissiano. Ma che significa?
L’uomo è un animale che, sin dall’australopiteco di circa 3,5 milioni di anni fa, si è sviluppato, adattato ed è vissuto sulla terra (intesa come “suolo”) e non nell’acqua: sino ad oggi l’evoluzione di questa specie è stata orientata alla motricità terrestre, in presenza di gravità, in posizione eretta, con arti sempre più efficienti nel camminare, correre e arrampicarsi semplicemente perché da ciò dipendeva la sopravvivenza.
Come molti animali terrestri, possiamo muoverci in acqua ma tale abilità non sarà mai efficace, cioè sarà sempre estremamente dispendiosa dal punto di vista energetico con dei risultati prestativi di scarsa qualità, questo perchè nulla nel patrimonio genetico dell’essere umano ha predisposizione per la motricità acquatica.
Per colmare questa mancanza l’uomo deve adattarsi il più possibile all’elemento acqua semplicemente “stando” in acqua, muovendosi e imparando a controllare il proprio corpo in un elemento non previsto dalla sua evoluzione.
E arriviamo al secondo punto: “valenza coordinativa”. Mentre per un ciclista il rapporto peso-potenza degli arti inferiori sommato all’efficienza dell’apparato cardio-circolatorio possono determinare gran parte delle qualità motorie di un atleta, nel nuoto queste percentuali si ribaltano a favore della sua coordinazione, cioè della sua capacità di organizzare con elevata precisione i movimenti dei vari segmenti corporei. Qualcuno obietterà: “Questo vale anche per atleti di molte altre discipline”. Vero, ma i nuotatori lo devono fare in acqua e lì “emergono” i problemi di cui sopra e le basi per risolverli si possono gettare solo in una finestra di età che va dai 6-8 anni ai 10-12 dopodiché l’evoluzione del nostro sistema nervoso non permette più il raggiungimento di livelli coordinativi acquatici necessari ad un elevato livello prestativo.
Ma il nuoto deve essere così invadente?
Sì, o almeno sì oggi: con gli attuali ritmi di vita, il tempo che i bambini riescono a dedicare al movimento, al “gioco in cortile” risulta insufficiente allo sviluppo di buoni livelli coordinativi. Quindi non solo “nuoto”, “basket” o “pallavolo”, ma “nascondino”, “guardie e ladri” e “strega tocca colore” o semplicemente giocare con la pallina di carta e scotch basterebbero per aumentare il bagaglio di esperienze motorie dei nostri figli.
In sintesi, se le feste di compleanno fossero sempre ai giardinetti senza alcun dispositivo elettronico, i tecnici farebbero meno storie per un’assenza dall’allenamento.
ph: Emily Rose © Pexels
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