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PTPaolo TondinaCharlotte Boyle (a sinistra) ed Ethelda Bleibtrey (a destra) e il famoso taglio alla Irene Castle.
Scegliere il crawl a sei battute nelle distanze, nel 1917, era tutt’altro che ovvio. Più difficile ancora lo era per una donna. I fondisti usavano il trudgen. Dopo Stoccolma aveva spopolato lo stile australiano a due colpi e alcuni avevano optato per quello. Sei colpi sembravano un’alternativa possibile, ma solo per la velocità. Era troppo dispendioso per il lungo. Per la donna i pregiudizi da superare erano doppi: tutta la tiritera sul sesso debole, più l’idea ossessiva dello stile faticoso. E poi, la più forte al mondo era ancora Fanny Durack. Eppure Charlotte Boyle, pupilla di Louis De Breda Handley e Charlotte Epstein, prese la decisione proprio in quell’anno. Optò per le sei battute nel fondo e l’anno dopo ottenne un record nazionale sul miglio, il suo primo record americano. La seguì nella scelta anche la compagna Clare Galligan e anche lei fu ripagata con un record, quello degli 800. Furono quindi le donne, in questo caso, ad infrangere la barriera concettuale che bloccava il progresso.
Charlotte Duggan Boyle era di Brooklin. Lì era cresciuta. Nata il 20 agosto del 1899, era arrivata abbastanza presto al nuoto, alla corte di Luigi de Breda Handley e Charlotte Epstein: il cattolico e l’ebrea, il miglior allenatore del mondo e la più abile dirigente del paese. Le sue gare erano quelle che andavano dai 50 alle 220 iarde, ma non disdegnò le distanze, che furono il suo primo grande balzo, grazie all’opzione coraggiosa sull’uso delle gambe. Così divenne la prima grande freestyler della New York Women's Swimming Association. Il suo stile e il suo fascino, più il coraggio e il talento dimostrati, furono uno sprone non da poco per le donne nuotatrici.
In carriera vinse titoli nazionali dalle 50 yard alle cinque miglia. In tutto vinse otto titoli dell’Amateur Athletic Union, la maggior organizzazione americana di nuoto amatoriale, quella che in quel momento deteneva il diritto all’accesso olimpico. Ma i suoi capolavori furono due record mondiali nei 200 metri e nelle 220 yard. Il primo lo ottenne a New Brighton, nel Minnesota, in vasca da 25 yarde, il 25 agosto 1921. Nuotò 2’47.6, un tempo che fu battuto due anni dopo da un’altra nuotatrice della WSA che avrebbe fatto storia, la compagna di squadra Gertrude Ederle.
La sua amicizia con Ethelda Bleibtrey, la super campionessa con cui andò ad Anversa nel 1920, fu molto profonda. Fu lei a portarla al nuoto. Le due amiche sembravano sorelle, anche fisicamente. Entrambe bionde, condivisero tutto, anche la famosa storia del taglio di capelli. Era andata che nella la tournee in Australia del dopo olimpiade, nell’entusiasmo della giovinezza, avevano deciso di conciarsi alla moda di Irene Castle, la ballerina che aveva sfidato il bel mondo con la moda dei capelli corti. I genitori di Charlotte però non la presero affatto bene. Indignati mandarono una lettera che diceva alla figlia di non tornare finché i capelli non fossero ricresciuti. Naturalmente finì bene. Al ritorno delle ragazze, dopo un primo shock, dovuto alle abitudini, anche loro si accorsero che la cosa non era poi andata così male.
Ad Anversa Charlotte partecipò ai cento stile libero. La gara si svolse in due turni, il 23 e il 25 agosto. Con lei c’erano altre diciotto nuotatrici, provenienti da nove nazioni. Quattro atlete erano americane e tre semifinali stabilivano i finalisti. Sette atlete si contendevano il titolo olimpico: le prime due di ogni gara e il miglior tempo fra gli altri. La serie di Charlotte Boyle era la prima. Arrivò seconda, dietro alla compagna Schroth e si qualificò per la finale con un discreto 1’20.4. Il tempo la teneva però fuori dalla lotta per le medaglie. L’ordine d’arrivo della finale riporta un suo ritiro. Sul podio, come da pronostico, salirono tutte e tre le sue compagne: Ethelda Bleibtrey, Irene Guest e Frances Schroth, nell’ordine.
Un matrimonio da favola con Henry Clune, editorialista del Rochester Democrat e del Chronicle, concluse la sua carriera agonistica, ma non la sua storia col nuoto. Continuò infatti ad insegnare la sua arte a molte generazioni di nuotatori del Genesee Valley Club, una di quelle organizzazioni per uomini d’affari e benpensanti nate a fine ottocento per accompagnare la socializzazione in un luogo esclusivo con la pratica dello sport. Tra l’altro ebbe anche una buona carriera da allenatrice. Morì il 3 ottobre 1990 a Scottsdale, a New York, alla venerabile età di 91 anni.
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