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Abbandonare lo sport, un problema sociale e psicologico

Si è passati senza esserne consapevoli da una ricerca della prestazione basata sul miglioramento individuale in base alle proprie capacità, ad una ricerca sfrenata, spesso indotta da situazioni esterne, di prestazione basata sul mito della perfezione

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Nell’ ultimo articolo scritto da Alessandro Denti si legge che

fino a ieri i nostri ragazzi avevano saputo gareggiare con allegria fanciullesca, divertiti e divertendosi, avevano iniziato a raccogliere i frutti del loro faticoso allenamento, magari arrivando a qualche piccola soddisfazione o trovando comunque la via per le proprie. Ma un bel giorno la fanciullezza finisce

Questo articolo analizza con gli occhi di un genitore il fatto che i ragazzi si trovano improvvisamente a scoprire che esiste anche la sconfitta, parola forse poco amata dagli adulti che vedono nei figlia la propria soddisfazione e quindi il fantasma del giudizio entra lentamente nei pensieri di questi giovani atleti che sviluppano un dialogo interno negativo e disturbante per i loro comportamenti agiti.

Questi pensieri nel tempo potrebbero portare atleti di altissimo livello a vivere la loro attività, sempre più intensa e sotto i riflettori dei media, come una prigione mentale dove la sofferenza diventa il vero carceriere proprio come lo ha definito Adam Peaty in un’ intervista rilasciata ultimamente .

Peaty, ranista olimpico, ha dichiarato che per quest’anno ha deciso di dire basta alle competizioni utilizzando le seguenti parole in un post sui suoi canali social:

Everyone wants to sit in your seat until they have to sit in your seat ( Tutti vogliono sedersi al tuo posto fino a quando non devono sedersi al tuo posto )

ma sono pochissime le persone che possono realmente capire cosa producono la vittoria e la ricerca della prestazione ottimale per la salute mentale di un essere umano. Conclude i suoi post, con un’analisi elaborata dopo anni passati a cercare di curare i suoi stati mentali, affermando di essere stanco, di non essere più sé stesso e di non riuscire più a godersi lo sport.

È di questi giorni la notizia, che vede un altro sport alle prese con questo problema. Amanda Anisimova scrive in un suo post che

è diventato insopportabile partecipare a tornei di tennis. Sono stata alle prese con la mia salute mentale e al burnout dall’estate del 2022

Purtroppo le problematiche inerenti l’aumento di abbandoni e di disagi psicologici in sportivi giovani e top level si sta moltiplicando in questi anni, in maniera particolare dopo il Covid, così come stanno aumentando moltissimo anche l’abbandono scolastico e la mancanza di motivazione.

Di fatto si è passati senza esserne consapevoli da una ricerca della prestazione basata sul miglioramento individuale in base alle proprie capacità, ad una ricerca sfrenata, spesso indotta da situazioni esterne, di prestazione basata sul mito della perfezione che inevitabilmente inaridisce l’individuo aumentando la pressione, lo stress e a lungo andare tende a ridurre la motivazione e la creatività utile alla costruzione dei propri percorsi di allenamento e formativi.

Desiderare il successo, che sia sportivo, didattico o lavorativo, fa parte del nostro modo di essere. Oggi la nostra cultura fortemente incentrata sull’estremizzazione delle prestazioni mettendo costantemente sotto pressione le persone al fine di raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi fondati su un piano che non rappresenta la realtà di ognuno di noi.

Si creano disagi emotivi legati ad una sorta di perfezionismo che nulla ha a che vedere con una prestazione fondata sulle capacità di ogni persona. Quindi il perfezionismo porta ad un vissuto negativo in quanto ci si nega la possibilità di vivere e crescere grazie anche alla sconfitta ed al fallimento. Questo è un aspetto che alla fine causa stress e ansia in tutte le persone in quanto si evidenzia un’eccessiva competizione interna con la conseguenza di diventare alienati ed incapaci nel soddisfare le aspettative di chi vive intorno a noi: genitori, allenatori, pubblico, sponsor, docenti, ecc.

Per tutto ciò, come si affermava precedentemente, siamo portati a cercare la perfezione

In maniera compulsiva verso obiettivi che sono impossibili. Alcuni ricercatori hanno definito due categorie di persone: i perfezionisti che ricerca obiettivi impossibili da raggiungere e quindi non trovano mai soddisfazione in quello che fanno anche se a volte raggiungono questi obiettivi, e gli ottimalisti che lavorano nella ricerca di obiettivi, anche elevati, ma sicuramente raggiungibili per la loro preparazione e quindi provano soddisfazione. I perfezionisti non accettano tutto quello che risulta diverso dalla loro visione ideale provando sofferenza, mentre gli ottimalisti accettano i percorsi e i risultati che la vita offre a loro

(Aadattata da Tal Ben-Shahar – 2023)

Perfezionisti Ottimalisti
Rifiutano il fallimento Accettano il fallimento
Rifiutano le emozioni dolorose Accettano le emozioni dolorosa
Rifiutano il successo Accettano il successo
Rifiutano la realtà Accettano la realtà

Quindi per evitare problematiche che possano portare a stati di delusione, di depressione e a lungo andare anche di comportamenti autolesionisti si dovrà cercare di lavorare nei percorsi formativi (sport e scuola) e nelle attività agonistiche rispettando e facendo crescere le persone investendo sulle loro reali competenze al fine di farle crescere verso una concezione ottimalista basata prima sul benessere e poi sulla loro prestazione ottimale.

BIBLIOGRAFIA

  • Tal Ben-Shahar, “La ricerca della perfezione. Smetti di inseguire il perfezionismo”, Giunti Editore, 2023

SITOGRAFIA

  • Angelo Zega, “La dittatura dell’efficienza al servizio del profitto”, 4 maggio 2023

Ph. ©Deepbluemedia

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