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La pressione ambientale: una vera emergenza

La nostra società sembra incapace di pensare a tutto ciò che sviluppa benessere psico-emotivo e di conseguenza benessere anche medico-salutare della persona

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Nelle ultime settimane si stanno moltiplicando interventi da parte di esperti di psicologia e neuropsichiatria infantile in merito al proseguirsi di una forma di clausura obbligata per i nostri ragazzi. Tempo fa avevo scritto un articolo sulla “movida” e le sue conseguenze attuali, il 15 febbraio è stato pubblicato a cura di Federico Gross un grido di allarme sulle possibili conseguenze dovute alla chiusura degli impianti natatori. È un problema che si sta moltiplicando e che vede l’incapacità della nostra società nel pensare ad una soluzione che preveda, tra gli altri punti, anche tutto ciò che sviluppa benessere psico-emotivo e di conseguenza benessere anche medico-salutare della persona.

I giovani oggi vivono una vita a metà dovuta al fatto che stanno segregati in casa, costretti a una scuola a singhiozzo (tra DAD e presenza) e mancanza di sport e movimento, il tutto come ampiamente descritto provoca aumento di comportamenti ansiosi, disorientamento e apatia. I ragazzi si sono abituati a vivere, permettetemi questa metafora, sulla lama affilata di un rasoio che crea paura e demotivazione. Chi allena i ragazzi che oggi possono ancora andare in piscina perché tesserati hanno sicuramente notato un calo nel rendimento piuttosto evidente.

La difficoltà anche per le nostre attività agonistiche sta nel concentrarsi, nell’avere un obiettivo definito e non un qualcosa che può cambiare di giorno in giorno e quindi con motivazione calante. Avere accanto i compagni di squadra, o i compagni di scuola nuoto, produce una spinta maggiore all’apprendimento ed all’impegno. I ragazzi vivono nell’incertezza totale chiedendosi quando finirà questa emergenza senza avere la sicurezza che tutto ritornerà come prima. Alcune interviste pubblicate su alcuni quotidiani evidenziano che c’è un certo fastidio che sta lentamente aumentando da parte dei ragazzi che si chiedono per quale motivo, ad esempio, gli adulti vanno a lavoro e loro a scuola solo per metà, non possono fare sport, quasi a sentirsi come soggetti primari di un contagio pandemico. Continuano in realtà a non avere valvole di sfogo quali lo sport, il movimento, la sfida e la competizione, obbligati in alcuni casi a trovare queste motivazioni nelle sfide on line permettendo al virtuale di prendersi tutto lo spazio lasciato libero da questa pandemia.

In questa fase si dovrà quindi cercare di lavorare sulla ripresa emozionale, nel caso anche coadiuvati da psicologi dello sport, al fine di aiutare a risanare tutti questi aspetti non tecnici ma fondamentali per la vita di un atleta e che riguardano il recupero della motivazione e della fiducia che rappresentano quel senso di sicurezza interiore che ci pone in condizione di realizzare i nostri obiettivi.

Il compito degli allenatori e sei tecnici in questo momento è quello di rinforzare questa situazione in maniera da intraprendere azioni adeguate ed efficaci nonostante le difficoltà che si stanno vivendo e quindi evitare tutti i rischi legati alla fatica mentale oltre che alla totale demotivazione.

Bisogna trovare il modo di coltivare con i nostri atleti e i nostri allievi una relazione ottimale che aumenti la fiducia verso se stessi e verso la situazione ambientale in modo da strutturare un percorso che metta in gioco la nostra capacità di vivere in maniera antifragile .

Secondo Nassim Taleb , l’autore che ha coniato il termine, è proprio grazie al fatto che si vive in una situazione scomoda e di disagio che si ha l'occasione di migliorare ed evolvere.

L’antifragilità è quella caratteristica, un cambio di paradigma, per la quale un soggetto esposto ad una crisi, ad un evento traumatico o ad un cambiamento non solo resiste, ma trae proprio quel vantaggio che gli permetterà di migliorare e di evolversi prosperando nel disordine. La persona antifragile vive in una condizione di incertezza, affronta l’incerto in maniera generativa, capovolge l’approccio ai pronostici e alla gestione o diminuzione dei rischi, accoglie l’errore, sfrutta i momenti di caos per proiettarsi verso un nuovo status quo e non pronuncerà mai frasi del tipo "Non posso cambiare, ho sempre fatto in questo modo". Ciò ovviamente prevede un lavoro di programmazione basato sulla creatività e sulla capacità di saper cavalcare l’onda per adeguarsi durante questa situazione di estrema confusione.

Ph. © Deepbluemedia

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