Acque libere
Una riflessione
Si fa presto a dire “acque libere”, ma per i nuotatori cresciuti nel cloro delle piscine, che rende l’acqua azzurra e limpida, le “acque libere” sono piene di mistero, forse di minacce e di paure ancestrali.
Non importa quante migliaia di chilometri tu abbia nuotato in piscina, con quella striscia blu da seguire (per i dorsisti, naturalmente, è un’altra storia) e le corsie che ti proteggono. Le “acque libere” sono un’altra storia, un’altra sfida. Innanzi tutto, se si nuotano in mare, le “acque libere” cambiano i punti di appoggio e di presa. Di poco, ma cambiano. L’acqua salata ti brucia la pelle, ma ti rende più leggero e così devi ristrutturare, millimetro dopo millimetro, la bracciata, che scivola, ma anche scappa via più leggera. Se nuoti in un lago, invece, la percezione si rovescia, millimetro dopo millimetro, e l’acqua e la bracciata diventano più dolci e pesanti.
Le “acque libere”, quindi, rispetto alla piscina, sono davvero un altro mondo. Non c’è solo l’acqua incognita e quasi sempre scura, da scoprire, con un po’ di coraggio. Si inizia con quel tuffo collettivo alla partenza, come se fosse una stazione della metropolitana all’ora di punta, e poi l’affollamento continua nelle prime bracciate, con calci e gomitate per farsi spazio in quella che rassomiglia, almeno all’inizio, a una tonnara. Poi c’è la gara, che è tutta diversa dalla piscina. Le gare in “acque libere” sono sempre di fondo e fino a poco fa c’erano anche i 25 chilometri, quasi impensabili, che molti riuscivano invece a nuotare. Ma conviene fare la propria andatura o stare nella scia di qualcun altro, che ti trascina dietro di lui, ma decide la direzione, che può anche sbagliare, perché ci sono le boe da aggirare invece delle corsie da seguire?
Le “acque libere”, quindi, hanno un surplus di tattica e di strategia, da decidere a tavolino e da adattare in gara. Adesso, da un po’ di tempo, in “acque libere” c’è anche la staffetta 4x1,5 km composta da due donne e due uomini, in successione libera, l’unica gara che gli azzurri non avevano mai vinto a un Mondiale. L’altro giorno, però, a Fukuoka, Pozzobon, Tadeucci, Acerenza e Paltrinieri , hanno riempito questo vuoto sul medagliere con una gara fantastica. Ma in acqua con loro, o almeno nelle loro teste, c’era anche Fabrizio Antonelli , il tecnico che li allena al Centro federale di Ostia. È lui che ha elaborato la complessa strategia di gara, la successione delle frazioni, mettendo all’inizio le due ragazze, Barbara Pozzobon seguita da Ginevra Taddeucci, che devono contenere lo svantaggio rispetto ai maschi in acqua. Poi arriva Mimmo Acerenza, già bronzo nei 5 km, che deve recuperare quanto possibile e lanciare l’amico di Greg Paltrinieri nell’ultima frazione di gara.
Greg ha vinto tutto, ma questo oro gli mancava. Ecco, allora, l’ultima frazione di una gara straordinaria, insieme ai suoi compagni e compagne di staffetta, e Greg va a vincere l’oro. Un oro bello ed importante in queste “acque libere”, che sanno essere dispettose, perché è un oro di squadra, composto da donne e uomini, tutti egualmente impegnati ed importanti, ciascuno secondo le proprie possibilità. Come dovrebbe essere sempre nella vita e come vuole la nostra Costituzione, ma questo è un altro discorso. Grazie alle “acque libere”.
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