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I mille volti dell'ansia pre gara: una prospettiva evolutiva

C’è un momento diaframma nelle carriere degli atleti che prelude alla loro evoluzione verso l’agonismo maturo: si tratta del momento in cui, in vario modo e sostenuti da molteplici figure, riescono ad integrare la paura nella propria rappresentazione di sé, senza sentirsi per questo deboli, perdenti o peggio ancora sbagliati o inadatti al compito e al ruolo

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Gli atleti sono, più spesso di quanto si possa immaginare, dei grandi Maestri: ogni volta che danno voce a ciò che sentono nel pre-gara illuminano e restituiscono spessore a quella percezione profonda, dai mutevoli volti, che viene spesso definita “ansia da prestazione”.

Ci insegnano che bisogna osservare senza giudizio e ascoltare attentamente.

Ognuno di loro entra in contatto con l’ANSIA (che considereremo nella macro area emotiva della PAURA) in modo estremamente personalizzato: per qualcuno l’emozione si fa sentire molto prima della gara, cominciando ad interferire nelle importanti tappe di avvicinamento all’evento, per altri entra senza permesso in camera di chiamata, destabilizzando gli stati mentali, emozionali e fisiologici degli atleti, con un timing maligno e sabotatore, cogliendo alla sprovvista la solitaria introversione del nuotatore in uno dei momenti più sensibili.

Sono attimi interminabili, che tolgono energia psicofisica e che mettono l’atleta in una situazione di ALLERTA: la gara non è più un’opportunità, ma una minaccia e la vasca è più simile ad una giungla che ad un ambiente conosciuto, un luogo prevalentemente “FUORI CONTROLLO” dal quale si vorrebbe talvolta fuggire, sempre che non si finisca per rimanere CONGELATI dalla PAURA.

Una PAURA che da un punto di vista percettivo-emotivo e, vorrei aggiungere, relazionale ha un suo senso;

quell’ansia e quella paura vogliono spesso PROTEGGERE l’atleta da alcune PREOCCUPAZIONI profonde e talvolta inconsapevoli: vogliono proteggerlo dall’errore e dal non essere perfetto, dal deludere se stesso e tutti quelli che credono in lui e dalla successiva potenziale perdita di stima a causa del mancato risultato, dal non avere abbastanza energia e forza per sostenere lo sforzo ed affrontare la contesa.

Spesso anche le più forti SPINTE COMPETITIVE degli agonisti risultano di difficile gestione se non vengono sostenute da un senso di AUTOEFFICACIA stabile e vitale; gli obiettivi razionali infatti , non sempre vengono SENTITI come RAGGIUNGIBILI, anche quando atleti e allenatori hanno fatto del loro meglio.

Non sempre gli EVENTI vengono sentiti come CONTROLLABILI: in quei casi l’atleta si sente letteralmente “in balia” di situazioni esterne che cerca di PREVEDERE (attivando l’ipercontrollo che alimenta l’ansia), ma che non sente comunque di poter GESTIRE come vorrebbe.

Non serve una psicologa per intuire quanto questo ASSETTO PERCETTIVO-EMOTIVO possa essere depotenziante e per certi versi “traumatico”, soprattutto quando si attiva per la PRIMA VOLTA.

In quei casi è “come se” l’atleta si sentisse estraneo a se stesso, in balia di qualcosa di intangibile e (direbbe la mente cognitiva) non motivato, che risulta ingestibile.

Sono momenti in cui la rappresentazione IDEALE che l’atleta ha di sé confligge con quella REALE: come se fosse INACCETTABILE sentirsi così poco competitivi, così inadeguati , impreparati, così PERICOLOSAMENTE ESPOSTI al giudizio proprio e altrui e così in prossimità di quell’evento (che è la gara), in cui ci si porterà finalmente AL LIMITE, in cui si farà esperienza del proprio POTENZIALE.

E se non bastasse?

Quali possibili conseguenze?

Come gestire la delusione, il dispiacere e la rabbia?

Incontrare il proprio TALENTO può essere inaspettatamente “spaventoso”: ci vuole fiducia, coraggio e una graduale esperienza per creare la giusta alleanza con le proprie CAPACITÀ : chiediamolo agli atleti “enfants prodiges” e alle giovanissime promesse che vorremmo indiscutibilmente veder andar lontano.

C’è però un momento DIAFRAMMA nelle carriere degli atleti che prelude alla loro evoluzione verso l’AGONISMO MATURO: si tratta del momento in cui, in vario modo e sostenuti da molteplici figure, riescono ad INTEGRARE la PAURA nella propria rappresentazione di sé, senza sentirsi per questo DEBOLI, PERDENTI o peggio ancora SBAGLIATI o INADATTI al compito e al ruolo; da questo prezioso passo di espansione CONSAPEVOLE potranno allora prendere vita tutti i processi strategici e metodologici per favorire il miglior ASSETTO cognitivo-emotivo in GARA, trasformando l’iniziale criticità in un punto di forza.

Questa è alla fine la grande OPPORTUNITÀ che l’ansia da prestazione può offrire all’atleta :

  • la mentalizzazione profonda delle proprie percezioni emotive in situazioni rilevanti
  • l’allenamento mentale orientato all’integrazione di nuove esperienze e di nuovi aspetti di sé nel proprio percorso di crescita agonistica e personale
  • l’allenamento alla costante gestione dello stress finalizzata all’espressione del proprio potenziale del momento.

L’AGONISMO diventa quindi un’attitudine e una sorta di “postura” ESISTENZIALE che, se ben armonizzata, può costituire un VALORE AGGIUNTO anche nei FUTURI ambiti PROFESSIONALI, che speriamo accolgano i nostri ATLETI di oggi , con l’attenzione che indubbiamente MERITANO.

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Ph. © G.Scala/Deepbluemedia

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